Internet ci rende stupidi? La rete è diventata un insieme banale e ridondante d’informazioni senza senso sulle quali non vale la pena investire del tempo? È vero che il web sta tirando fuori il peggio di noi tra ignoranza, mediocrità e aggressività più o meno repressa?
Non sono poche le ricerche e i titoli di giornale che, negli ultimi mesi e anni, hanno affrontato il fenomeno: dagli articoli di Nicolas Carr, il primo pubblicato addirittura nel 2008 e ripreso poi nel volume che gli ha permesso di vincere il premio Pulitzer, alle provocazioni di qualche anno fa di Umberto Eco. A rafforzare il concetto sono – più di recente – arrivate altre considerazioni su come internet ci stia rendendo, non solo meno intelligenti, ma anche maggiormente aggressivi. Ne sono un esempio le testimonianze del sociologo Richard Sennet e quanto – più di recente ancora – è successo con la ragazza sopravvissuta alla tragedia di Rigopiano.
Come si legge in questi articoli, Internet ha innescato un meccanismo psicologico di de-individuazione in cui ci sentiamo maggiormente tutelati dal poter fare quello che vogliamo senza aspettarci conseguenze. Questo tipo di meccanismo si traduce in due comportamenti principali: il primo riguarda la leggerezza con la quale ci informiamo e andiamo a fondo delle questione e il secondo la facilità con cui formiamo un’opinione e una critica ancora prima di aver conosciuto gli elementi in gioco.
Gli stessi social media sono pensati in questa direzione.
Pensate all’algoritmo di Facebook: la piattaforma sulla quale – in media – spendiamo la maggior parte del nostro tempo online. Il Newsfeed è costruito proprio secondo questo principio: continuerete a vedere notizie dalle persone alla quale mettete like o delle quali apprezzate gli aggiornamenti di stato. Un meccanismo che si auto-conferma all’infinito finendo per escludere altre possibili variabili dall’equazione e appiattendo – di fatto – il livello del dibattito. Si tratta di un fenomeno noto a chi studia psicologia chiamato bias di conferma, molto in breve: tendiamo a credere e ricercare maggiormente ciò che conferma le ipotesi e le conoscenze che già abbiamo.
Accanto a tutto questo, giungono sul mercato una serie di nuovi settori e di nuove tecnologie (internet delle cose, industria 4.0, fintech…) che richiedono di rimanere sempre più aggiornati e sempre più informati per capire cosa stia succedendo al mondo nel quale viviamo. Non è un caso che l’Economist abbia dedicato qualche settimana fa uno speciale sul long life learning e sull’importanza – economica, individuale e organizzativa – di mantenere uno standard informativo e formativo di livello lungo tutto l’arco della propria vita.
Come possiamo fare – quindi – per muoverci in questo scenario e per rimanere aggiornati evitando di perdere in qualità dell’informazione?
Le soluzioni ci sono e, a mio avviso, sono riassumibili in una serie di punti di attenzione che vanno tenuti ben presente e che richiedono un minimo di sforzo collaborativo per essere attuati. Vediamone alcune insieme:
– Aumentare il proprio livello di consapevolezza e di spirito critico: le bufale che spopolano su Facebook in questo momento sono – spesso – facilmente riconoscibili e anche quando non lo sono, partite sempre dal presupposto di verificare tutto quello che leggete. È semplice: copiate il contenuto su Google e scoprirete immediatamente se la notizia è vera o meno. La buona nuova è che Facebook stessa starebbe correndo ai ripari per arginare il fenomeno di diffusione delle notizie false.
– Verificare le informazioni è il primo punto, ma selezionare le fonti è altrettanto importante: costruire un network affidabile è sicuramente un passo decisivo che vi permette di circondarvi di informazioni di qualità.
– La qualità paga sempre: ed è anche – sempre – riconoscibile. Se è vero – come sottolineato dalle ricerche – che in rete non esiste la corporeità e tutto è maggiormente etereo, è altrettanto vero che le tracce digitali di quello che facciamo sono sempre identificabili (anche a distanza di anni): vale la pena porre una doppia attenzione a quello che diciamo e a quello che facciamo in rete.
– Rimanere sempre in uno stato di apprendimento continuo: in rete, dall’epoca del 2.0 ad oggi, si è sempre parlato di perpetual beta, nella filosofia orientale di shoshin (lo spirito del principiante). Due concetti differenti che sottintendono quanto espresso dal numero dell’Economist: l’importanza di mantenersi sempre informati e sempre in uno stato di apprendimento costante durante tutto l’arco della propria vita.
– Diffidare dei numeri, o meglio diffidare da chi utilizza il numero di utenti di un servizio per testimoniarne l’efficacia: purtroppo la quantità non è sinonimo di qualità men che meno in rete. Anche in questo caso un sano spirito critico e una verifica oculata delle informazioni è sempre da preferire.
Ricordiamoci, quindi, sempre di rimanere aggiornati e consapevoli o, perlomeno, di provarci costantemente.
Del resto come ha scritto anni fa Albert Camus: “Un impiegatuccio in un ufficio postale è pari a un conquistatore, se la consapevolezza è comune a entrambi”.


Stefano Besana
Digital e Future of Work Leader di EY, dove dirige anche il centro di esperienze trasformative wavespace, Stefano si occupa da oltre 12 anni di trasformazione organizzativa, digitale ed evoluzione dei modi di lavorare verso scenari maggiormente aperti, collaborativi, efficaci e partecipati.
2017-02-10T14:30:16+01:00