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Empowerment

Come imparare a credere in sé stessi e mettere da parte l'orgoglio

Claudio Gagliardini
Di Claudio Gagliardini
Nato a Roma nel 1970, manca per pochi decenni la natività digitale, ma recupera con insospettabile freschezza alla fine degli anni ‘90 dopo numerose esperienze in ambito turistico-ricettivo, in giro per l’Italia. Il demone del web s’insinua in lui agli esordi della Rete nel Bel Paese, fino a diventare una professione, con l’avvento dei media sociali e del web 2.0, che integra l’impegno sino a quel momento speso in comunicazione e marketing per-digitali. Oggi è consulente, formatore e relatore in marketing e comunicazione, con particolare specializzazione sui social media e sulle opportunità offerte dalla Rete. Socio e co-fondatore di seidigitale.com [...]
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Pubblicato il 10.07.2019 alle 12:12

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Esistono poche cose al mondo che infastidiscono come qualcuno che ci crede troppo e che mette sé stesso al centro dell’universo, perché “come lui nessuno mai”, ma una cosa è certa: tutti coloro che sono arrivati a grandi risultati lo hanno fatto proprio credendo che fosse possibile e continuano ogni giorno a credere di poter ottenere ancora di più.

Ci credono e se ne fregano di quanto questo possa infastidire gli altri, che in fondo sono per lo più turbati dal disagio dell’inadeguatezza, piuttosto che dalla semplice invidia. Come si fa, però, a capire quando “crederci” è l’ingrediente che fa davvero la differenza e quando è invece semplice e inutile spocchia?

Se non ci credi tu chi vuoi che ci creda?

A chi non è capitato di pensare “ma guarda quello come ci crede…”, scuotendo il capo con le labbra serrate per non cedere alla tentazione di gridarlo senza alcun ritegno? Si tratta di una reazione del tutto naturale, quando incontriamo sulla nostra strada qualcuno talmente carico e convinto di ciò che fa da rasentare il ridicolo. Ma c’è davvero da biasimare chi ci crede così tanto? Ed è davvero ridicola l’idea che qualcuno abbia una tale fiducia in ciò che fa da non riuscire a nascondere questa sua spinta dietro alla finta modestia, ad esempio, o tenendo un profilo più basso?

Ovviamente non ci sono risposte univoche a queste domande e, come in molte altre cose, si tratta per lo più di una questione di misura e di buon gusto, anche questi purtroppo del tutto opinabili. Il punto è però un altro: si può davvero ottenere qualcosa, in un mondo sovraffollato e ipercompetitivo come il nostro, senza crederci così tanto?

Provate ad immaginare la carriera di un grande illusionista, che va molto oltre il rischio di una brutta figura, ma che si spinge oltre i limiti, mettendo in pericolo la propria incolumità. Lui sa benissimo che sta mettendo a repentaglio la propria vita per la buona riuscita di una mera illusione, ma proprio per questo è costretto a crederci maledettamente. Senza alternativa: deve crederci o lasciarci le penne. Fortunatamente non sono in molti a trovarsi di fronte a scenari così estremi, ma la regola è assolutamente universale, pur nelle sue infinite gradazioni.

Non basta credere di crederci

Credere ha molte sfaccettature e significati. Credere in sé stessi e in ciò che si fa non è però troppo diverso dal credere in Dio o in una dottrina politica o filosofica. Credere davvero, infatti, non significa semplicemente limitarsi ad abbracciare un’idea, ma sposarla come si fa con una persona: amandola, rispettandola, comprendendola, ma soprattutto agendo concretamente, giorno dopo giorno e non per obbligo, ma per effettiva partecipazione. Quante volte ci siamo sentiti rimproverare “tu credi di amarmi, e invece…”?

Credere davvero è qualcosa che va ben oltre la convinzione superficiale di sapere fare qualcosa. È di tutta evidenza che, qualunque sia il nostro obiettivo o la nostra missione, crederci non è sufficiente. Serve infatti molto di più: studio, pratica, competenza, impegno, risorse… Ma tutto questo, e chissà quanto altro ancora, non basta e non funziona senza che noi crediamo davvero che quegli obiettivi siano effettivamente perseguibili.

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Crederci meno, crederci meglio

Se crederci è necessario, dunque, il solo vero distinguo è rappresentato dal modo: dal come, dal quanto e dalla capacità di ciascuno di lasciare questa fondamentale attitudine al di fuori dai meccanismi perversi dell’ego. È questa la trappola da evitare, se vogliamo davvero che il nostro credere ci porti a realizzare gli obiettivi che ci siamo preposti (o che ci hanno assegnato) e che gli altri ci guardino con ammirazione e ci prendano come esempi, anziché prenderci in giro per la nostra spocchia.

Crederci e credersela sono due cose profondamente diverse, infatti. Gli eroi, gli artisti, gli scienziati e tutti i grandi uomini che hanno attraversato la storia dell’umanità e che ancora oggi ricordiamo e celebriamo, ci hanno creduto maledettamente e, nella maggior parte dei casi, il riconoscimento del loro valore è arrivato solo dopo aver raggiunto dei risultati, se non addirittura dopo la loro morte. È questa la profonda differenza tra chi mette il proprio credere al servizio di un obiettivo o di una causa e chi lo fa preminentemente per sé stesso e per il proprio ego.

Perché l’orgoglio è un ostacolo

Un altro nemico del “buon credere” è infine l’orgoglio. Come cantava Vasco Rossi in una rima da brividi, infatti, “ne ha rovinati più lui che il petrolio”, perché trasforma l’essenza stessa del credere in una sorta di patologia che va oltre ogni logica.

Non è vero che chi ci crede davvero può ottenere qualsiasi risultato. Credere è fondamentale, come abbiamo già visto, ma non è una condizione necessaria e sufficiente, ma casomai un prerequisito, che non deve far leva su altro che sulla lucida capacità di analizzare la realtà e di vedere opportunità nell’ignoto e lampi di luce nel buio. In tutto questo l’orgoglio non può che essere un ostacolo.

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