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Immagine principale di: Il nuovo Dizionario Treccani e l'importanza del linguaggio inclusivo
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Empowerment

Il nuovo Dizionario Treccani e l’importanza del linguaggio inclusivo

Gianluca Cedolin
Di Gianluca Cedolin
Nasce a Venezia e lavora come giornalista freelance. Ha pubblicato su molte testate e blog come La Repubblica, Rivista Undici, Gq, Yanez Magazine e Zona Cesarini. Appassionato di sport e di cinema, ambientalista convinto, vive a Milano e adora l’aria di progresso e sviluppo tecnologico che si respira, ma sogna un giorno di abitare nella natura sperduta.
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Pubblicato il 02.12.2022 alle 13:09

A settembre Treccani ha annunciato che il nuovo Dizionario italiano aggiornato sarà il primo in Italia a contenere, oltre a quelle maschili, anche le forme femminili. Nel Dizionario quindi femminili e maschili avranno la stessa importanza e saranno indicati e definiti entrambi in un’unica voce (o in due voci, in alcuni casi specifici) in ordine alfabetico, quindi alta, alto, oppure direttore, direttrice. Come ha detto in un’intervista al Corriere della Sera Giuseppe Patota, uno dei due direttori del progetto insieme con Valeria Della Valle, «questa organizzazione delle voci non crea assolutamente una difficoltà per chi consulta il vocabolario, ma restituisce alle parole verità e realtà negate, cancellate per secoli».

Linguaggio inclusivo, società inclusiva

È una svolta importante quella lanciata da uno dei più autorevoli istituti divulgativi e linguistici italiani, perché prende atto di quanto oggi un linguaggio più inclusivo e aperto sia un punto di partenza per rendere più inclusiva e aperta anche la società. Qualcuno potrebbe pensare si tratti solo di un problema formale, di poco conto, ma la realtà è che tutte e tutti (anzi, tutt* o tuttə) abbiamo diritto di sentirci rappresentati.

I problemi del maschile sovraesteso

Il linguaggio è la facoltà che più di tutte ci distingue dagli altri esseri viventi, ma è pure quella che può escludere, emarginare determinate categorie di persone. Negli ultimi anni c’è sempre più attenzione a costruire forme di comunicazione prive di stereotipi o discriminazioni. Il maschile sovraesteso, cioè l’utilizzo del genere maschile per indicare concetti che includono anche la presenza del femminile, è una convenzione figlia di un mondo patriarcale: proprio dal linguaggio possiamo partire per cambiare questa impronta.

Vedere nel dizionario che ci può essere una avvocata, una sindaca, una medica, una soldata (e non soldatessa, che è un diminutivo), ma anche un casalingo e non solo una casalinga, è il primo passo per abituarci all’idea che non ci devono essere distinzioni di genere (o di altro tipo) nell’accesso a certe professioni.

La lingua evolve sempre

«Se suonano male o sembrano brutte è solo perché sono usate poco», ha detto Valeria Della Valle, smentendo anche l’argomentazione di chi vuole preservare una presunta originalità e tradizione della lingua italiana. Del resto, sono secoli che non parliamo o scriviamo in un italiano uguale a quello di Dante, Petrarca e Boccaccio, e anzi una lingua bella è una lingua viva, che cambia, che sta al passo con i tempi. Chi si sente minacciato dalla schwa o dagli asterischi evidentemente appartiene a una categoria di persone che vuole mantenere lo status quo, non interessata a cambiare una società molto spesso sessista (o omofoba, o razzista).

Che sia la Treccani, una delle più importanti istituzioni culturali italiane, a spingere per il cambiamento è un ulteriore motivo per abbracciare questo rinnovamento. Poi certo, ci sono forme o modi della lingua che possono piacere meno di altri, suonare male, appunto, ma molto spesso è l’abitudine, e anche quando non riusciamo ad adattarci, dobbiamo sempre riflettere su quanto una cosa superflua per qualcuno sia vitale per qualcun altro.

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