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Empowerment

Il futuro del lavoro va costruito e passa dall’esperienza e dalla centralità delle persone

Stefano Besana
Di Stefano Besana
Digital e Future of Work Leader di EY, dove dirige anche il centro di esperienze trasformative wavespace, Stefano si occupa da oltre 12 anni di trasformazione organizzativa, digitale ed evoluzione dei modi di lavorare verso scenari maggiormente aperti, collaborativi, efficaci e partecipati.
Scopri di più
Pubblicato il 15.06.2021 alle 8:34

Quale futuro ci aspetta?

“Futuro del Lavoro” è un termine che si sente spesso menzionare, più o meno propriamente, nell’ultimo periodo e che, anche a causa della profonda esperienza di remotizzazione che abbiamo vissuto nel 2020-21 ha imposto una seria riflessione alle organizzazioni di tutto il mondo. Lo scenario è però ben più complesso del semplice lavoro da remoto e richiede una precisa configurazione dei diversi termini in gioco.

Quello del lavoro ibrido e del futuro del lavoro è – infatti – un tema psicosociale e organizzativo critico.

Cerchiamo di analizzare la situazione con alcuni (pochi) dati, che possano servire da contesto. Secondo alcune ricerche di EY e SWG, il lavoro ibrido è qui per rimanere: il 70% dei lavoratori ambisce a modelli flessibili come quelli che abbiamo sperimentato, mentre un 65% anela un ritorno a una socialità di ufficio che abbiamo perduto. È quello che chiamiamo il paradosso dello smart working.

Questa apparente contraddizione di fondo ci impone una seria riflessione sui modelli di lavoro che caratterizzano il prossimo futuro. Trovare il giusto bilanciamento e senso tra le differenti dimensioni può rappresentare una sfida molto complessa per le nostre imprese.

Immaginare un nuovo modo di lavorare

Per ripensare il nostro modo di lavorare e i modelli che caratterizzano le nostre organizzazioni è necessaria una seria riconfigurazione della cultura e delle competenze che sono richieste, uno studio EY, Pearson e Manpower, tra gli altri, sottolinea come sia solo il 36% delle professioni destinato a crescere, attraverso fusione di diversi modelli, scissione e separazione di modelli di competente differenti e ibridazione.

Il tema non è solo legato, ovviamente, limitatamente a competenze tecniche, ma riguarda anche una capacità “meta” che è necessario sviluppare e che ha a che fare con la capacità riflessiva di ragionare sul racconto dell’esperienza che facciamo, quella caratteristica della persona che ha tratteggiato molto bene Donald Schön nel suo “il Professionista Riflessivo”. La narrazione che facciamo delle cose che ci accadano, il racconto che ricostruiamo nel momento in cui avviene l’esperienza ci consente di cavalcare l’onda del cambiamento e non subirla. È questo un processo che deve essere accompagnato da leader capaci di interpretare i segnali deboli e costruire sistemi di senso complessi che siano in grado di navigare in situazioni anche di completa incertezza.

La centralità dell’esperienza e del digitale

Il futuro del lavoro passa da tutto questo e da un profondo ripensamento dei nostri modelli di lavoro in una rivoluzione copernicana della cultura delle nostre imprese e delle nostre persone per un nuovo rinascimento del lavoro.

Il tutto, superfluo sottolinearlo, avviene in uno scenario altamente tecnologico e digitale che impone di muoversi con velocità sfruttando un momento unico nel panorama del nostro paese. È un’occasione da non sprecare che apre a possibili nuovi modelli di lavoro e configurazioni a geometria variabile che vedono nelle organizzazioni degli attori importanti per disegnare il futuro della società di cui facciamo parte.

Per chiudere, per coloro che fossero maggiormente spaventati da quello che ci attende, con un monito di Antoine de Saint-Exupéry: “La tecnologia non tiene lontano l’uomo dai grandi problemi della natura, ma lo costringe a studiarli più approfonditamente.”

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