Social Media Activism: un hashtag può davvero cambiare il mondo?
L’attivismo sui social media utilizza gli strumenti sociali del web come piattaforma principale per condividere informazioni, mobilitare sostenitori e promuovere cause collettive, politiche o ambientali. Nell’ultimo decennio ha portato alla conoscenza dell’opinione pubblica centinaia di casi e di temi, ma non sempre il suo impatto è determinante.
Quando nel 2007 Chris Messina, un ex dipendente Google di San Francisco, suggerì l’utilizzo dell’hashtag # per raggruppare le conversazioni su Twitter che convergevano su un determinato argomento, consentendo così l’interazione anche tra persone che non si conoscevano e non si seguivano, non fu da subito semplice ipotizzare cosa quel banale cancelletto sarebbe stato capace di smuovere.
A meno di 5 anni di distanza dalla sua introduzione su Twitter, la cosiddetta “Primavera Araba” scosse Egitto, Siria, Libia, Tunisia,Yemen, Algeria, Iraq, Bahrain, Giordania e Gibuti, con episodi minori in molte altre aree di quella parte di mondo e, da lì in avanti, tutti compresero quanto gli hashtag fossero potenti e in grado di ispirare e dare coraggio alle persone.
La natura e le prospettive del Social Media Activism
Oggi definiamo così le proteste, le lotte e le istanze che nascono online o che attraverso la Rete e si propagano e prendono quota nell’opinione pubblica; ma probabilmente siamo ancora lontani da una vera e completa comprensione del fenomeno e delle sue possibili ricadute. Questa forma di attivismo sta avendo un impatto significativo sulla società, poiché i social media sono utilizzati da miliardi di persone e hanno reso più facile per chiunque, quasi tutto il mondo, connettersi in Rete e comunicare con gli altri. I social offrono oggi un’ampia gamma di strumenti per diffondere messaggi e mobilitare sostenitori. Infatti, oltre all’hashtag che serve a raggruppare conversazioni verticali e a fare da ponte tra persone che non si conoscono, la condivisione di contenuti multimediali e la possibilità di creare appelli e petizioni online fanno da forza motrice a questa leva.
Il Social Media Activism ha già dimostrato di poter rappresentare una forma efficace di attivismo per diffondere consapevolezza e mobilitare persone, ma il suo punto debole è rappresentato dalla sua stessa natura di fenomeno online. Quando nel 2011 in Spagna prese quota il Movimiento 15-M, noto anche come movimento degli Indignados, alcuni utenti italiani di Twitter dettero scherzosamente vita a un collettivo di contestatori in pigiama e ciabatte, che chiamarono Indivanados. Sebbene le proteste spagnole avessero ampio sfogo in piazza, infatti, già da allora appariva chiaro che tra gli attivisti da strada e quelli da tastiera ci fosse un enorme divario e che, sebbene la Rete fosse già percepita come una grande opportunità, qualsiasi iniziativa online sarebbe servita a ben poco se non fosse stata supportata da un’azione concreta e da un impegno duraturo e tangibile.
Alcuni esempi di Social Media Activism
A distanza di oltre dieci anni dai suoi primi vagiti l’attivismo sui social media ha già portato molte cause importanti alla ribalta pubblica. L’uso coordinato della Rete ha dato voce a centinaia di milioni di persone e a molte cause, promuovendo il cambiamento sociale in tutto il mondo. Come già evidenziato, le proteste del 2011 in Egitto e in molti altri Paesi di quell’area sono state in gran parte organizzate attraverso i social media, ma negli anni successivi molto altro si è mosso attraverso i canali della Rete.
Ad esempio, il movimento #MeToo, che ha preso quota alla fine del 2017 con una corale condivisione da parte di donne che denunciavano pubblicamente le proprie esperienze di abusi sessuali e molestie per creare consapevolezza e invitare a non tacere, com’era accaduto per le molte vittime dello scandalo Weinstein.
Allo stesso modo, a partire dal 2013, ma ancor più nel 2020, a supporto delle proteste per l’omicidio di George Floyd, il movimento #BlackLivesMatter è stato sostenuto da molte persone negli USA, in Europa e in molte nazioni del mondo con manifestazioni e campagne sui social media per contrastare la violenza razziale.
Anche il movimento per il clima di Greta Thunberg ha ottenuto un’enorme visibilità sui social media grazie all’hashtag #FridaysForFuture, che si rifaceva ai sit-in di protesta promossi in prima persona dalla studentessa svedese prima ancora che la sua battaglia ambientalista fosse sposata da milioni di ragazzi in tutto il mondo.
Altri esempi di attivismo sui social media in Italia e in Europa riguardano le battaglie sull’identità di genere, per i diritti LGBTQIA+ e per combattere omofobia e transfobia.
Opportunità e strumenti
Negli ultimi anni, in particolare durante la Pandemia e i relativi lockdown, abbiamo potuto apprezzare anche i molti strumenti che la Rete ha messo a disposizione per concretizzare le istanze provenienti dall’attivismo sociale. In particolare il crowdfunding, finanziamento collettivo, una pratica di microfinanziamento dal basso che mette in moto la solidarietà e consente di raccogliere i fondi necessari per passare dalle parole all’azione concreta.
Con questo strumento possono essere lanciate raccolte fondi per campagne benefiche o per la realizzazione di progetti che non possono accedere ad altre modalità di finanziamento o che, come nel caso delle raccolte fondi per i compleanni degli utenti attive su Facebook e altre piattaforme, qualcuno è interessato o desideroso di supportare.
Le più utilizzate piattaforme di crowdfunding sono Crowdfundme, Mamacrowd, Kickstarter, Indiegogo ed Eppela, alcune delle quali sono specializzate nel lancio e nel finanziamento di nuove idee, prodotti e servizi.
Attraverso i social media è possibile inoltre far girare più velocemente o addirittura viralizzare petizioni che prendono forma su apposite piattaforme in Rete e che, oltre a mettere a disposizione degli utenti tutti gli strumenti per creare, supportare e firmare le petizioni, predispongono spesso meccanismi di condivisione automatica che ne aumentano la visibilità e l’impatto. Le piattaforme più utilizzate per creare e firmare petizioni online sono Change.org, Avaaz, PetitionOnline, GoPetition e Care2.
Criticità e rischi
Il Social Media Activism è talvolta criticato per la sua natura effimera e superficiale, oltre che per il fatto che, come già evidenziato, gli attivisti online si limitano spesso alla condivisione di post sui social media, snobbando l’azione concreta sul campo.
Un altro aspetto critico riguarda la consapevolezza dei partecipanti. La semplicità e comodità della condivisione in Rete, infatti, genera non di rado un coinvolgimento che non garantisce convinzione, né reale conoscenza delle cause sostenute. Questo è certamente uno dei principali rischi dell’attivismo in Rete, perché la scarsa conoscenza di ciò che si ritiene di dover sostenere favorisce la condivisione di informazioni false o inattendibili, la diffusione di teorie controverse, la strumentalizzazione e il travisamento di quanto portato alla luce dagli attivisti più consapevoli e informati.