Made in Italy: l’eccellenza non è uno stadio che si raggiunge, ma una condizione cui si punta
Scriviamo e leggiamo tutti di Made in Italy, sappiamo di che si tratta e non ci facciamo poi tante domande: è Made in Italy. Eppure se qualcuno ci parla della tecnologia giapponese, sgraniamo gli occhi. Senza parlare del vino francese, delle auto tedesche e… di che altro? Sembra strano in effetti ma se il tema è quello dell’eccellenza che produce un paese, ben pochi sono i casi di rilievo. Se togliamo il turismo di molti paesi – che non rappresenta un’eccellenza – ben pochi sono i casi dai quali espatriare un valore “made in” globalmente riconosciuto. Eppure per noi italiani è così scontato. Ma come tutti i casi in cui non ci si accorge del valore che si ha se non quando viene meno, sappiamo tutti parlare di Made in Italy, ma così pochi lo conosciamo. È come l’inno nazionale: tutti lo conoscono ma nessuno sa declamarlo a memoria. Eppure siamo italiani. Che succede?
L’eccellenza è un concetto chiaro. È il tema del “nessuno sa essere migliore”. Ma essere il migliore o essere tra questi è una situazione che possiamo riconoscerci da soli? Diciamolo chiaramente: chi si proclama eccellente in genere non lo è, chi fa qualcosa che viene riconosciuto da fattori oggettivi come “il migliore di”, in genere è un’eccellenza ma non sa di esserlo. Che scacchiera diabolica! Ma l’eccellenza è come la classe: se ti dico che hai classe, punterai alla bellezza; se ti dico che sei bello o bravo, sarai contento e ti fermerai lì. Idem con l’eccellenza. La moka Bialetti, la Vanity Fair di Poltrona Frau, il cappello Borsalino, la cucina mediterranea, la musica partenopea, sono tutte eccellenze. Ma cosa le fa eccellenti?
Innanzitutto hanno trascorso la prova del tempo che – guarda caso – è proprio uno dei valori che eleva la bellezza a valore supremo. E poi sono tutti casi che non sono nati come progetti di marketing destinati a rispondere a un mercato, ma come esigenza di chi si è trovato a sperimentare in quel determinato settore. Questo è il punto chiave che porta a concludere che ogni oggetto, soluzione, studio nato da questo concetto è destinato a essere ricordato. Quando oggi in Italia si parla di Silicon Valley, viene da sorridere. Questa incessante intenzione nel cercare di replicare in Italia quelle condizioni è anacronistica. In Italia quel momento altamente propositivo c’è già stato: Achille Castiglioni che studia e progetta la lampada Arco, Valle con il celebre orologio Solari Cifra 5, Brionvega con la Radio Cubo sono tutti oggetti che ancora oggi sono sulle nostre scrivanie. E questo già solo prendendo il design come icona del Made in Italy. In USA ci sono arrivati da poco ed è per questo che esiste un Made in Italy e non un made in USA. Ci vuole tempo.
Ma l’eccellenza è di un singolo settore o percorre l’intera cultura della qualità che distingue un paese? Sicuramente la seconda. Ed ecco che il Made in Italy, oltre al design, è moda, cinema, territorio, musica e cucina. Difficilmente chi ambisce all’eccellenza in un ambito, trascura gli altri in cui si trova, anche occasionalmente, a operare.
Ma oggi l’eccellenza italiana come si comporta? Ancora la bellezza: se una persona sa di essere ritenuta bella, si sentirà tale anche quando in realtà si trascura. Così il Made in Italy: molte realtà oggi vivono sull’abbrivio di questa nomea e ciò non corrisponde proprio alla pratica dell’eccellenza. Detto questo, che vale per moltissimi casi, c’è da riconoscere che ci sono realtà che invece si impegnano a confermare che il Made in Italy è quello di sempre e che, soprattutto, ricercano costantemente un livello sempre più alto. Del resto l’eccellenza non è uno stadio che si raggiunge, ma una condizione a cui si punta. Questo produce un risultato duplice. Da un lato il livello di eccellenza del Made in Italy si alza sempre più, dall’altro il numero di realtà che possono puntare a tale livello diventano sempre meno. Dunque pochi testimonial di questo modo di fare e, accanto, uno strato affollatissimo di “vorrei ma non posso”. Verrebbe da chiedersi se alla fine il vero Made in Italy non sia più di questi secondi che dei primi e in effetti, stando ad alcuni trend che ognuno di noi può verificare di persona, costantemente leggiamo di piccole realtà sconosciute che conquistano mercati e successo fuori Italia pur non avendo nomi altisonanti. Artigiani, piccole imprese e casi autonomi di iniziativa privata sfornano costantemente qualità, tanta qualità, in una parola eccellenza.
Un fattore è certo: se è vero che molte volte siamo noi italiani i primi a non considerare il nostro saper fare allo stesso modo di come viene considerato all’estero, è pur vero che il motivo spesso sta nel fatto che per noi (vorrei dire tutti, ma non è così) fare Made in Italy è come respirare. Lo sai fare e basta.
E proprio grazie a questo non serve essere Ferrari, Gucci, Barilla o Poltrona Frau per essere eccellenza, anzi. Grazie a grosse realtà di distribuzione oggi in Italia è possibile uscire allo scoperto anche senza avere strutture imponenti come quelle citate e non per questo essere penalizzati. Non parliamo poi della comunicazione, che oggi mette a disposizione anche delle piccole marche degli strumenti che aiutato a farsi conoscere a un pubblico molto ampio senza rendere necessario lo spot TV in prima serata che rimane appannaggio dei grandi che possono.
Verrebbe da riprendere il tema della cultura di impresa che è più delle piccole imprese che praticano l’eccellenza piuttosto che dei manager da fatturato dei grandi marchi. Fatto sta che ambire all’eccellenza è una responsabilità enorme perché è il fattore che distingue qualità da successo, e a eccezione dei marchi storici, non v’è dubbio che al quesito che ci ponevamo non c’è altra risposta che l’eccellenza italiana passa per un panorama affollato realtà tanto piccole quanto capaci di enorme qualità.