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Innovazione e Sostenibilità

Metaverso: è tempo di decidere cosa vogliamo farci

Stefano Besana
Di Stefano Besana
Digital e Future of Work Leader di EY, dove dirige anche il centro di esperienze trasformative wavespace, Stefano si occupa da oltre 12 anni di trasformazione organizzativa, digitale ed evoluzione dei modi di lavorare verso scenari maggiormente aperti, collaborativi, efficaci e partecipati.
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Pubblicato il 17.11.2022 alle 10:07

Metaverso è una parola che, negli ultimi mesi, ha calcato prepotentemente le pagine di tutti i giornali e che ha invaso i nostri canali digitali e analogici. Ma cosa ci stiamo esattamente facendo? È una domanda che in molti si sono posti, soprattutto a fronte degli ingenti investimenti che molte aziende, Meta (ex Facebook) in primis, hanno stanziato. Le cifre sono – infatti – da capogiro: 600 miliardi di dollari nel 2022, che promettono di salire a 850 miliardi nel 2024. Scorrendo LinkedIn e altri social, non esistono aziende che non abbiano fatto almeno una menzione al fenomeno o non si siano dotate di una presenza stabile all’interno degli spazi e degli ambienti virtuali. Ma non è tutto oro quello che luccica. 

Che problemi ci sono, quindi, con il metaverso?

Nella psicologia, soprattutto quella cognitiva e della comunicazione, che si occupa di realtà virtuale e aumentata, sono noti due concetti: quello di presenza e presenza sociale. Il primo si riferisce alla capacità di attuare le proprie intenzioni all’interno di un ambiente digitale o virtuale. È la sensazione di “essere” all’interno dell’ambiente in modo intuitivo. La presenza sociale – d’altro canto – è la capacità di “essere con altri da sé”: riuscire, cioè a riconoscere intuitivamente le intenzioni degli altri. 

Il fatto che Zuckerberg abbia inserito la capacità di “sentire” e di poter muovere i piedi all’interno dell’ambiente VR nasce proprio con questa idea. Si tratta di un’innovazione forte che prova a risolvere uno dei problemi principali: non ci sentiamo a “casa”. 

È uno degli ingredienti fondamentali che è sempre mancato all’interno di ambienti di questo tipo: avatar posticci e repliche più o meno cartonate rendono molto lontane le capacità di immergersi all’interno di un mondo virtuale con consapevolezza e pienezza. 

Metaverso: non solo un tema di presenza e di realismo

Si tratta, quindi, solo di un tema di “resa grafica”? Non proprio. Sperimentazioni come quelle lanciate all’interno del metaverso non sono nuove. L’impatto della realtà virtuale e della realtà aumentata è studiato e applicato da anni in numerosi contesti, ma con finalità e scopi ben precisi. È il senso dell’applicazione a guidare: che sia in ambito medicale, di gaming, di entertainment o educativo. Il fatto che il metaverso – oggi – sia deserto (secondo alcuni report interni a Meta sarebbero davvero appena decine gli utenti attivi) è, quindi, forse maggiormente legato a una mancanza di casi d’uso ancora concreti e a benefici tangibili per le persone che ne fanno parte. 

Come risolviamo il problema? 

Se siamo interessati a popolare questi ambienti dovremmo forse ragionare maggiormente su alcuni aspetti legati a come lo comunichiamo, a come formiamo le persone che ne fanno parte e quale scopo (purpose) diamo a chi ne fa parte. È il primo ingrediente che deve accompagnarsi a una seria definizione di casi d’uso: applicazioni medicali, di formazione specialistica, di remote working possono fare da apripista a scenari più complessi. 

Se definiamo concretamente una modalità di impiego del metaverso sarà più semplice fare in modo che le persone abbiano benefici positivi dalla sua adozione e ne comprendano davvero le potenzialità sottese. 

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