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Arte e Cultura

Leggere «Il giovane Holden» per riscoprire l’irriverenza

Andrea Ponzano
Di Andrea Ponzano
Giornalista professionista. Ha scritto per l’Unità. Si occupa dei temi di attualità con la passione per l’approfondimento, il reportage e l’inchiesta. Ha pubblicato il suo primo romanzo “Come se esistesse l’eternità”, Rubbettino editore. Ha un passato da film maker. Realizza servizi video per testate giornalistiche, reportage di viaggio nel settore del turismo, spot per il sociale. Docente universitario in “Criminalità e Mass Media” presso l’Università Niccolò Cusano. Ama la letteratura e la storia contemporanea. Il cinema in bianco e nero. È stato per anni un insegnante di chimica. Vive tra Roma e Milano.
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Pubblicato il 26.02.2019 alle 20:03

Siamo il fanciullo che abbiamo dimenticato. Quello che fa sognare a occhi aperti, che fa guardare poeticamente al mondo, che guarda alla realtà che lo circonda con stupore ed entusiasmo, che riscopre il lato attraente e anche un po’ misterioso delle cose. Il “fanciullo” dentro di noi osserva le cose con una prospettiva rovesciata, sosteneva Giovanni Pascoli nella sua teoria: le cose grandi diventano piccole e quelle piccole sono ingrandite. Contano i dettagli. È la condizione interiore di quella natura pura e ingenua che abbiamo perso crescendo e il fanciullo è morto, lo abbiamo sepolto sotto i nostri anni, sotto le nostre frasi che iniziano tutte con: «Io…», «Io…», «Io…», ormai incapaci di superare le recinzioni che abbiamo eretto a estremo usbergo contro le intemperie di un mondo sempre più feroce. La crisi economica, l’immigrazione, la violenza dell’uomo, l’incapacità di accettare il “diverso da me”. Dio è morto, cantava Guccini.
E l’uomo adulto ha ucciso il “fanciullo”, forse nello stesso momento in cui ha smesso di indignarsi. «Sono cose da matti» avrebbe detto Holden Caulfield. Sembra di vederlo con in testa «il berretto rosso da cacciatore, di quelli con la visiera lunghissima, cafone da morire, chi lo nega» mentre sprofonda nell’ansia giovanile con quella sua aria scioccata, quell’insofferenza verso le ipocrisie e i conformismi del mondo, colta così magistralmente da J.D.Salinger nel romanzo “Il giovane Holden”, scritto quasi 70 anni fa ma eterno come l’indignazione senza tempo delle giovani generazioni verso le doppiezze della società. È l’irriverenza che abbiamo dimenticato. Essere adulti è diventata una giustificazione, l’abitudine e la rassegnazione che ci fa accettare le ingiustizie del nostro vivere di ogni giorno.
Tornare a indignarci con l’irriverenza verso il mondo e i suoi lati adombri. Un buon motivo per leggere o rileggere, a seconda dei casi, “Il giovane Holden” e la sua «infanzia schifa» e le «cose da matti che gli sono capitate», dal giorno in cui lasciò la scuola con una bocciatura in tasca e nessuna voglia di farlo sapere ai suoi. La trama del capolavoro di Salinger è tutta qui, narrata in prima persona da Holden con la sua voce sbroglia e senza orpelli. Ma il vero protagonista non è lui ovvero è il suo umore rabbioso che prende spazio sul palcoscenico letterario del romanzo. In fondo, non ci interessa sapere neanche perché sia così arrabbiato. Ci basta la sua rabbia perché ognuno di noi può scorgerci la propria. Il personaggio di Salinger si rifiuta di crescere, di adeguarsi alle norme di un mondo che gli appare stupido, falso, privo di significato e di autentici valori. La critica alla società, alienante e priva di fantasia e mediocre, capace di riprodursi sempre uguale a sé stessa.
A stimolare il risveglio dell’irriverenza è l’io narrante, il giovane Holden, l’adolescente che vede e giudica ciò che lo circonda in modo “positivamente” ingenuo, non “inserito” e senza compromessi. Incapace di integrarsi perché vede nei valori che lo circondano un minestrone riscaldato di ipocrisie e mediazioni. Interpreta con inedita efficacia e con esilarante linguaggio studentesco l’adolescente, costantemente a disagio nei rapporti con la scuola e con la società non per timidezza o pigrizia ma per la comprensibile difficoltà di riconoscersi in rapporti finalizzati solo al successo o al guadagno. Il giovane Holden può insegnarci a riacquistare quell’irriverenza salvifica capace di esorcizzare il male della società che ci circonda.  Gran parte del suo fascino lo deve alla più che riuscita traduzione nella nostra lingua: l’Holden italiano non sarebbe il mito che è ancora oggi senza i suoi «e via dicendo», «e compagnia bella»che traducono sempre e soltanto l’espressione americana «and all». Impossibile pensare a lui senza gli «una cosa da lasciarti secco», «e via dicendo…», o «la vecchia Phoebe», la sua sorellina più piccola. L’unica persona con cui Holden riesce ad avere un rapporto vero forse perché nella sua ingenuità sa che la bambina è ancora lontana dal mondo ipocrita degli adulti.
Holden è diventato, prima in America poi in Europa e oggi in tutto il mondo, un personaggio «proverbiale» anzi «l’eroe eponimo di tutta una generazione» di adolescenti. Nel suo personaggio si sono riconosciuti milioni di adolescenti. Cosa da matti che da adulti l’abbiano dimenticato.

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