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gamification come introdurla in azienda
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Empowerment

Quando il lavoro somiglia a un gioco: come introdurre la gamification nella nostra routine

Stefano Besana
Di Stefano Besana
Digital e Future of Work Leader di EY, dove dirige anche il centro di esperienze trasformative wavespace, Stefano si occupa da oltre 12 anni di trasformazione organizzativa, digitale ed evoluzione dei modi di lavorare verso scenari maggiormente aperti, collaborativi, efficaci e partecipati.
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Pubblicato il 04.04.2018 alle 14:28

“The opposite of play is not work — it is depression”. Con questa celebre frase Brian Sutton Smith traccia un confine importante che spesso tendiamo a sottovalutare. Chi ha detto che lavoro e gioco devono collocarsi ai due estremi di un continuum?
La realtà è molto differente.
Non sono poche – infatti – le aziende che negli ultimi anni hanno cominciato a parlare di gamification, una tendenza che si è affermata sul mercato e che rappresenta uno degli strumenti impiegati dalle imprese per migliorare la motivazione e l’engagement dei dipendenti. Ma cosa è di preciso la gamification? È uno strumento, al pari di tanti altri, che può essere utilizzato dalle nostre imprese: si tratta dell’introduzione di meccaniche e dinamiche proprie dei giochi (punti, badge, premi, sfide interne e molto altro) al fine di stimolare comportamenti e atteggiamenti positivi nei dipendenti che siano al tempo stesso orientati verso obiettivi di business misurabili.
Attenzione però: si tratta di un processo che deve essere funzionale al raggiungimento di obiettivi concreti e validi per l’azienda e non – come spesso si vede fare – un meccanismo che vede la semplice applicazione di punti e di badge per premiare comportamenti validi. La portata del fenomeno è molto più ampia.
Qualche dato a supporto e conferma di quello che stiamo dicendo: il 70% dei progetti di trasformazione falliscono a causa di un basso livello di engagement delle persone che vi prendono parte; il valore di mercato della gamification nel 2016 era di 2.8 miliardi di dollari, rispetto ai soli 242 milioni nel 2012; entro il 2020 il 53% degli stakeholder considera l’applicazione di queste logiche come uno degli asset primari dell’organizzazione del futuro.
Le nostre aziende – di impostazione ed eredità tayloristica – sono abituate a ragione con meccanismi di ricompensa e riconoscimento molto vicini a quelli del “bastone e della carota”. Chi ha familiarità con le scienze cognitive o con la gestione HR, sa benissimo che questo tipo di meccanismi sono difficilmente conciliabili con la capacità delle persone di essere motivate. Sono – infatti – meccanismi che inibiscono la motivazione intrinseca, spostano il locus of control sull’esterno, orientano e consolidano solo gli atteggiamenti nel breve termine, inibiscono la capacità di pensare fuori dagli schemi e incoraggiano comportamenti poco etici.
È stato uno psicologo ungherese a teorizzare uno stato di “flow” proprio delle persone altamente motivate all’interno del quale le nostre performance (a prescindere dal fatto che siano sportive, personali, lavorative o di gioco) raggiungono l’apice delle loro possibilità: si tratta del flow o “esperienza ottimale di flusso”. Si ha questa situazione – secondo Mihaly Csikszentmihalyi – quando le sfide imposte dall’ambiente esterno sono perfettamente bilanciate con le abilità che possediamo. In caso contrario (sfida troppo difficile) ci sentiamo frustrati o (sfida troppo semplice) annoiati. E indovinate un po’? Siamo anche molto più felici, sì perché la ricerca di questo psicologo parte proprio da lì, dalla sua ossessione per la felicità. Lo stato di flow è quello che più si avvicina a livello cognitivo ed emozionale alla felicità estrema.
Come possiamo, quindi, fare in modo che all’interno delle nostre aziende si possano instaurare questi meccanismi facendo in modo di migliorare i processi di business, i risultati e l’ingaggio dei dipendenti?

  • Definiamo una “purpose”, uno scopo, una missione: qualcosa, insomma, che trascenda il semplice lavoro quotidiano, un po’ – guarda caso – come avviene nei giochi
  • Definiamo obiettivi di business specifici e misurabili connessi allo scopo individuato
  • Decidiamo quali comportamenti i nostri utenti e dipendenti devono agire per raggiungere gli obiettivi che ci siamo posti
  • Descriviamo cicli di attività che ci aiutino a descrivere le azioni e le meccaniche che dobbiamo prendere in considerazione per realizzare la migliore esperienza possibile
  • Sfruttiamo le piattaforme e gli strumenti collaborativi e digitali che includono meccaniche di questo tipo nelle loro impostazioni di default
  • Adottiamo un approccio ibrido di progettazione assieme agli utenti e assieme agli utilizzatori finali

La sfida sta, quindi, nel riuscire a introdurre in modo consapevole, oculato e allineato agli obiettivi di business dell’azienda, meccaniche che si ispirano al gioco.
Per concludere penso non ci siano parole migliori di quelle di Joseph Chilton Pearce: «Play is the only way the highest intelligence of humankind can unfold».

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