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Empowerment

Una recensione negativa può distruggere un’azienda, la social collaboration interna invece può farla volare

Stefano Besana
Di Stefano Besana
Digital e Future of Work Leader di EY, dove dirige anche il centro di esperienze trasformative wavespace, Stefano si occupa da oltre 12 anni di trasformazione organizzativa, digitale ed evoluzione dei modi di lavorare verso scenari maggiormente aperti, collaborativi, efficaci e partecipati.
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Pubblicato il 12.09.2014 alle 12:08

Da qualche anno a questa parte le organizzazioni, perlomeno quelle più mature e attente ai fenomeni di trasformazione del mercato, hanno cominciato a fare i conti con un nuovo modello di consumatore: digitalizzato, consapevole, attento al proprio portafoglio e alla propria spesa, informato e – molto spesso – critico nei confronti dell’azienda con cui si relaziona. Questa rivoluzione in atto – confermata tra le altre cose da un report di qualche mese fa di PwC, società internazionale di consulenza alle imprese, mostra con forza l’emergere di un nuovo tipo di relazione tra azienda e cliente. Un rapporto in cui oltre il 50% della popolazione italiana utilizza i media digitali per orientare le proprie scelte di acquisto e di consumo. Accade quindi che, quasi d’improvviso, la voce autorevole e rassicurante del brand che ci invitava a scambiare la nostra confezione di detersivo di marca con due altre confezioni di diverso tipo abbia perso ogni credibilità e – agli occhi del cliente – non appaia di alcun interesse.

L’utente scontento, alla ricerca di aiuto, molto spesso arrabbiato, trova nei social media la sua valvola di sfogo ideale cercando un contatto diretto e immediato con il brand

Oggi più di ieri le conversazioni che corrono in rete assumono un peso molto maggiore nella definizione dei comportamenti di acquisto e di consumo degli utenti: sembra essere paradossale, ma una recensione negativa letta su un blog è in grado di condizionare l’opinione di molte più persone rispetto a uno spot televisivo. Se questa nuova attitudine dei consumatori è vera in fase di vendita e considerazione del prodotto o del servizio che intendiamo acquistare (il 69% degli utenti italiani ricerca informazioni sui brand in rete nella fase che precede l’acquisto), possiamo dire che sia altrettanto efficace in una fase di post vendita o di supporto, laddove l’utente scontento, alla ricerca di aiuto, molto spesso arrabbiato, trova nei social media la sua valvola di sfogo ideale cercando un contatto disintermediato, diretto e immediato con il brand.

Una società di ricerca, la Aberdeen, ha recentemente pubblicato due report – Enterprise Social Collaboration. Driving Customer Experience Excellence through Teamwork e Enterprise Social Collaboration in Customer Service: Better Teamwork Unlocks Customer Delight – che analizzano proprio il fenomeno del customer care e del servizio al cliente, ma da un punto di vista radicalmente differente: quello dell’interno dell’organizzazione. Emergono infatti dati significativi che mettono in luce come le aziende che hanno sviluppato social collaboration all’interno dell’organizzazione siano in grado di:
1. Ridurre i tempi di gestione delle richieste che provengono dai clienti
2. Ridurre i tempi di risposta (16%)
3. Incrementare la capacità di risolvere i problemi
4. Ridurre i costi operativi e di gestione interni al contact center
5. Aumentare la capacità di up-selling e di cross-selling

Utilizzare approcci social all’interno dell’impresa e favorire la collaborazione intra e inter dipartimento consente di migliorare la capacità dell’azienda di servire il cliente

Utilizzare approcci social all’interno dell’impresa e favorire la collaborazione intra e inter dipartimento o funzione consente quindi di migliorare notevolmente la capacità dell’azienda di servire meglio il cliente, rispondendo alle esigenze del mercato. In sintesi: chi collabora abbattendo barriere e silos organizzativi è in grado di instaurare una relazione migliore con il cliente finale. Un esempio molto interessante in questa direzione è quello tentato da Giffgaff, operatore virtuale di telefonia mobile UK che ha rinunciato completamente al controllo sul customer care, affidandolo a una community di dipendenti e clienti che trovano in modo collaborativo soluzioni a problemi più o meno comuni. La piattaforma nel corso degli anni ha raggiunto numeri da capogiro: oltre 130mila thread, un milione di risposte e un tempo medio di risoluzione dei problemi di tre minuti.

Alzi la mano chi tra voi non ha mai sbottato di fronte a un operatore di call center non capace, inesperto o che semplicemente vi suggeriva di “spegnere e riaccendere” per risolvere “automagicamente” ogni vostro problema. Casi di questo tipo sono all’ordine del giorno e impattano non solo sull’esperienza del cliente (che sappiamo essere chiave), ma sull’intera organizzazione. Ancora una volta la sfida maggiore per le aziende di oggi è all’interno e non all’esterno. È dove si collocano i gangli decisionali e gli asset fondamentali dell’impresa, dove a cambiare sono la persona, non la tecnologia. Le organizzazioni che sapranno essere maggiormente collaborative al loro interno saranno, quindi, anche quelle in grado di servire meglio i loro clienti, instaurando con loro un dialogo di valore e una relazione duratura nel tempo.

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