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Empowerment

Non chiedere aiuto se sei in grado di farcela

Silvio Gulizia
Di Silvio Gulizia
Scrittore, giornalista e consulente di comunicazione. Ha lavorato venti anni nel giornalismo, come cronista prima ed esperto di tecnologia e innovazione poi, scrivendo per quotidiani e riviste. Questo l’ha portato a collaborare con acceleratori di startup e fondi di venture capital. Attualmente cura comunicazione ed eventi per il fondo Pi Campus. Dal 2015 scrive vivereintenzionalmente.com, una newsletter dedicata a pratiche per allineare le proprie azioni con le proprie intenzioni.
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Pubblicato il 27.08.2020 alle 8:10

Tutte le volte che ci blocchiamo davanti a un problema, decidendo di riportarlo a qualcuno anziché risolverlo, stiamo fallendo tre volte. In prima istanza, perché non stiamo risolvendo il problema. In seconda, perché stiamo disturbando altri con un nostro problema. E in ultimo, perché stiamo affossando la nostra crescita personale. Per quanto ovvio possa sembrare, nella realtà non lo è. Pensa per esempio a tutte quelle volte che un collega, o tu stesso, anziché cercare un’informazione nell’email o su Google interroga il resto dell’ufficio in merito.

Come affrontare i problemi

“È un tuo problema”, ripeteva sempre Augusto Coppola durante InnovAction Lab, un corso per aspiranti startupper che ho frequentato diversi anni fa. I gruppi che superavano tutte le prove avevano accesso a una finale per presentare la propria idea a investitori qualificati e pronti a investire. Era un tipo di selezione naturale: chi si sarebbe fermato davanti ai problemi incontrati lungo la strada non sarebbe arrivato alla finale. Nello stesso periodo iniziavo a collaborare con una persona che non rispondeva quasi mai alle mie email. Quella stessa persona, il CEO di un’azienda medio grande, mi spiegò che se avesse risposto a tutti quelli che gli scrivevano sarebbe diventato il collo di bottiglia di tanti processi. Non rispondendo, invece, al netto dei problemi generati in prima istanza, alla lunga avrebbe insegnato ai dipendenti a trovare una soluzione da soli.
Poco tempo più in là, assunsi una risorsa nel team di comunicazione che guidavo. Io sapevo che me ne sarei andato nel giro di pochi mesi, ma ci tenevo che tutto continuasse a funzionare bene anche dopo. Così decisi di insegnarle il “trucco”. La prima volta che Veronica si presentò da me con un problema che le aveva impedito di finire il lavoro assegnatole, le feci una lavata di capo spiegandole che era un suo problema, e che avrebbe dovuto risolverlo lei. Al successivo problema, la mia nuova risorsa arrivò con un paio di soluzioni. Altra lavata di capo, perché non aveva fatto altro che spostare il problema più in alto, lasciando sempre a me il compito di scegliere la soluzione. La volta successiva si presentò con una scelta, che però non aveva applicato, e puoi immaginarti come finì. Nel giro di un paio di mesi, Veronica imparò a presentarsi con il problema, la soluzione applicata, i motivi di esclusione delle alternative, e come aveva posto rimedio alle complicazioni che la soluzione da lei scelta aveva richiesto. Quando me ne andai, ero io a doverle chiedere se avesse incontrato dei problemi e come li avesse risolti. Ero quasi emozionato.

Atteggiamento mentale

Il modo in cui ci poniamo davanti ai problemi è determinato dal nostro approccio mentale complessivo. Carol Dweck, docente di psicologia a Stanford, ne ha individuati di due tipi:

  • fisso, tipico di chi non vuole rischiare di passare per un imbecille e quindi tende ad andare a ruota o chiedendo che gli venga indicata la strada;
  • volto alla crescita, che ritroviamo in chi vede in ogni aspetto della vita la possibilità di imparare qualcosa di nuovo, a costo di sbagliare strada.

Il modo in cui una persona si comporta davanti a un problema è indicativo del suo tipo di atteggiamento mentale. Ci sono persone che davanti a un problema riportano il problema, altre le soluzioni possibili, alcune il problema risolto, e altre ancora che hanno imparato a vedere il problema come una sfida da superare e non un ostacolo da riportare. In ambito lavorativo, questo tipo di processo richiede al dipendente o collaboratore di imparare a ragionare come il capo o cliente così da anticipare le sue obiezioni, almeno fino a che non gli sarà consentito di fare completamente di testa sua. Assumendo che chi sta sopra di noi ne sappia di più, indovinare la sua risposta al nostro problema ci preparerà a prendere il suo posto.

Pro e contro

Prendere l’iniziativa di risolvere un problema porta con sé vantaggi e svantaggi. Esponendoci a prendere qualche rischio, infatti, questo atteggiamento ci consente di essere sempre un passo avanti rispetto a chi si ferma davanti ai problemi; ci costringe a imparare a ragionare a un livello superiore; e ovviamente ci insegna a cercare e valutare le possibili soluzioni comparandole fra loro, di conseguenza allargando il nostro campo di conoscenze.

Prendendo l’iniziativa dimostriamo di avere competenze di problem solving, capacità di valutare i rischi, e infine di leadership. Tutte doti apprezzate non solo nel mondo del lavoro.

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